Dedicato a mio padre Enzo, che è impegnato, con la solita passione, nella competizione elettorale. Tuo figlio Gianluca, che spera che un giorno possa avere la possibilità di scegliere di tornare a vivere nella sua Città natale, con l’orgoglio di esserci nato.
Vedo che hai scelto la forma più dolce di fare politica, quella in cui, mentre ti rendi utile soprattutto alla comunità, ti offri quanto mai disponibile con chi si rivolge a te in privato. Ma se si può trovare una terra, come si racconta di Creta, dove non ci siano belve feroci, non è mai accaduto finora che l’attività politica non suscitasse invidie, gelosie o rivalità, tutte passioni assai feconde d’odio (del resto sono le amicizie stesse ad attirarci le inimicizie, come pensava anche il saggio Chilone quando chiese a un tale, che sosteneva di non avere nemici, se per caso non avesse nemmeno un amico).
Ho l’impressione, dunque, che a un politico convenga non solo avere approfondito i vari aspetti relativi alla questione dei nemici, ma soprattutto aver prestato un ascolto non distratto a quel luogo di Senofonte, in cui si afferma che è proprio di una persona assennata riuscire anche a “trarre vantaggio dai propri nemici”.
In primo luogo, dunque, mi sembra che l’aspetto più nocivo dell’inimicizia possa diventare, se vi si presta attenzione, quanto mai utile. Che intendo dire? Il nemico è sempre all’erta e spia tutto quello che fai e, cercando una presa per afferrarti, passa in rassegna, da ogni lato, la tua vita. E non ti scruta solo “attraverso una quercia” o pietre e mattoni, ma anche attraverso un amico, un servo, un familiare qualunque, mettendo a nudo, per quanto gli è possibile, tutto quello che fai, e scavando e indagando ogni tua decisione.
Spesso per negligenza o trascuratezza, ci sfugge che i nostri amici siano ammalati o moribondi, mentre con i nemici poco manca che andiamo a curiosare perfino sui sogni che fanno: malattie, debiti, dissapori coniugali, passano inosservati a chi li vive più che ai loro nemici. Ma è soprattutto agli errori che questi ultimi si appigliano, seguendone a fiuto le piste, e come gli avvoltoi sono attirati dal fetore dei corpi in decomposizione, ma non hanno percezione di quelli integri e sani, così sono le parti malate, meschine e guaste della nostra vita a stimolare i nostri nemici, e su queste s’avventa chi ci odia. C’è un’utilità in questo? Si, e grande: vivere con circospezione, stare attenti a se stessi, non fare e non dire nulla in modo superficiale o avventato, ma mantenere sempre la propria vita al riparo da critiche, come se seguissimo una dieta rigorosa. Così la circospezione reprime le passioni e rinsalda il ragionamento, e procede in noi sollecitudine e voglia di vivere in modo onesto e irreprensibile.
Considera inoltre questa affermazione di Diogene, davvero filosofica e politica: “Come mi difenderò dal mio nemico?”, gli aveva chiesto un tale, e lui: “Facendo di te stesso un uomo di ineccepibile virtù”. La gente si infastidisce vedendo la considerazione o gli apprezzamenti riservati ai cavalli o ai cani dei propri nemici; se poi posa lo sguardo su un campo ben coltivato o su un giardino in fiore, ne soffre.
Se vuoi infastidire chi ti odia, non inveire contro di lui dandogli dell’invertito, dell’effeminato, del dissoluto, del buffone o del miserabile, ma comportati tu stesso da uomo, sii equilibrato e sincero, e tratta con umanità e giustizia chi si rivolge a te. Se ti lasci andare alle invettive, fa in modo di essere tu stesso lontanissimo da ciò che biasimi in un altro. Immergiti nella tua anima, osserva bene il marcio che vi si cela, perché da qualche parte non salti fuori un vizio che ti reciti il verso del tragediografo: “fai il medico degli altri, e tu sei coperto di piaghe!”.
Platone, ogni qual volta capitava in mezzo a persone indegne, aveva l’abitudine, allontanandosi, di chiedere a se stesso: “Sono forse anche io così?”. Chi redarguisce la vita di un altro, se si volge subito a esaminare la propria e ne corregge il corso raddrizzandola e indirizzandola in direzione opposta, ricaverà una qualche utilità dal suo inveire, che altrimenti appare, e di fatto è, un’azione inutile e vana.
Chi vuole inveire non deve fare lo spiritoso, alzare la voce o usare toni arroganti, ma essere lui stesso una persona irreprensibile e inappuntabile: così, a quanto sembra, a nessuno il dio prescrive in “Conosci te stesso” più che a chi intende redarguire un altro, perché, dicendo quel che vuole, non abbia a sentirsi rispondere quello che non vorrebbe. A un uomo simile, come dice Sofocle :”capita, dopo aver sciolto vanamente la lingua, di udire malvolentieri ciò che volentieri ha detto”.
Ecco dunque cosa vi è di utile e vantaggioso nell’inveire contro un nemico, ma non minore è il profitto che si può ricavare dalle invettive e dalle maldicenze dei nostri nemici. Aveva ragione Antistene, quando diceva che, se vogliamo preservarci, abbiamo bisogno di amici sinceri o di accesi nemici, perché i primi criticano i nostri errori e gli altri, inveendo contro di noi, ce ne distolgono.
Se dunque si dice di te una cosa non vera, non devi sottovalutarla e disinteressartene, perché è una menzogna, ma esaminare piuttosto se ci sia stato qualcosa nelle tue parole, azioni, occupazioni o relazioni, che possa aver originato quella calunnia, e conseguentemente metterne in guardia e starne lontano. Se è vero che altre persone, piombate in situazioni non volute, ne ricavano utili insegnamenti, che cosa ci impedisce di vedere nel nostro nemico un maestro che non pretende onorari, e di giovarcene apprendendo da lui qualcosa che ci sfugge? Di molti nostri difetti un nemico s’avvede più di un amico perché, come dice Platone, “l’amore è cieco nei riguardi di ciò che ama”, mentre l’odio unisce all’indiscrezione il prurito di parlare.
Ecco dunque come le inimicizie ci consentono di manifestare mitezza e tolleranza, ma anche, e in misura maggiore rispetto alle amicizie, cordialità, magnanimità, bontà, perché soccorrere un amico è un gesto nobile, ma non paragonabile alla vergogna di lasciarlo solo in caso di bisogno, mentre rinunciare a vendicarsi di un nemico, pur avendone l’opportunità, è segno di gentilezza d’animo.
La conclusione è che non si devono risparmiare elogi e onori nei riguardi di un nemico che goda di una giusta reputazione: un simile elogio riversa su chi lo compie una lode ancora maggiore e per di più gli conferisce credibilità nel caso in cui si trovi a lanciare nuove accuse contro quell’uomo, perché è chiaro che esse non nascono da odio verso la persona, ma da disapprovazione per la sua condotta. L’aspetto più bello e più utile sta comunque nel fatto che chi ha preso l’abitudine di elogiare i nemici e non sentirsi rodere dentro o bruciare d’invidia per la loro felicità, si pone lontanissimo dall’essere geloso della prosperità o dei successi degli amici o dei familiari.
Se invece i nostri nemici, adulando, brigando o corrompendo, sembrano procurarsi un potere turpe e ignobile a corte o al governo, non ne proveremo fastidio, ma gioia piuttosto, contrapponendo al loro modo di fare la libertà, la purezza e l’innocenza della nostra vita, perché “tutto l’oro che si trova sopra e sotto la terra non vale la virtù” come dice Platone. Niente è invidiabile e bello se nasce dal turpe! Ma poiché “l’amore è cieco nei riguardi di ciò che ama” e la mala condotta dei nostri nemici ci rende più sensibili, non dobbiamo far sì che restino infruttuosi il piacere o il dispiacere che proviamo di fronte ai loro fallimenti o successi, ma tener conto degli uni e degli altri, guardandoci dai primi per diventare migliori e imitando i secondi per non diventare peggiori.
-PLUTARCO-
0 commenti